Articolo tratto dal GlobemoNews anno 1 n.3
redatto dalla Dott.ssa Carmen De Fusco
Le istiocitosi dell’infanzia costituiscono un gruppo di disordini proliferativi caratterizzati da infiltrazione e proliferazione di cellule del sistema reticolo-istiocitario. Si suddividono generalmente in tre classi. La classe I raggruppa le istiocitosi di derivazione dalle cellule dendritiche, la classe II le istiocitosi di derivazione dalle cellule macrofagiche e la classe III le istiocitosi maligne.
LE ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS
Tra le istiocitosi di derivazione dendritica il capitolo pi? rilevante ? quello delle Istiocitosi a cellule di Langerhans con una incidenza di un caso su 25000 bambini/anno.
Sono, oggi, raggruppate in una singola entit? nosologica rispetto al passato in cui esistevano varie denominazioni (Istiocitosi X, Granuloma eosinof?lo, Malattia di Hand-SchuIler-Christian, Malattia di Letterer-siwe).
Presentano una ampia variabilit? clinica, in genere lo scheletro ? interessato nell’80% dei casi seguito da cute, fegato e milza, sistema endocrino, sistema nervoso centrale, midollo osseo e tratto gastrointestinale.
Clinicamente si possono inquadrare in almeno due forme, una forma localizzata, con esordio lento generalmente al di sopra dei 3 anni ed interessamento prevalente dello scheletro, cute e linfonodi, con una prognosi, in genere, buona, e una forma sistemica, esordio acuto o subdolo, et? < 3 anni e prognosi nettamente peggiore. La diagnosi ? basata su criteri clinici, ematologici ed istologici.
Un paziente con interessamento sistemico pu? presentarsi con febbre, dolore, irritabilit?, scarso accrescimento, diarrea, intensa sete ed abbondante diuresi, otite ricorrente, segni neurologici, ittero, pallore, eritema cutaneo, ingrandimento del fegato e della milza, edemi, ingrandimento dei linfonodi, difficolt? respiratoria. Lo scheletro pu? essere interessato da tipiche lesioni osteolitiche, sormontate da granuloma eosinof?lo.
I dati di laboratorio rilevano un interessamento midollare con anemia, piastrinopenia, leucopenia, aumento degli indici infiammatori e di funzionalit? epatica. Le indagini strumentali pi? appropriate per stadiare la malattia sono la RX scheletro e la Risonanza Magnetica Nucleare. Per la diagnosi di certezza ? necessario riconoscere, su preparato istologico di midollo osseo o altro tessuto lesionale ( linfonodo, cute, fegato, tumefazione dei tessuti molli,) la morfologia e il fenotipo specifico per le cellule di Langerhans (S100, ATPase, CD1a).
Il protocollo terapeutico internazionale, denominato LCH III, stratifica i pazienti secondo due fasce di rischio:
- alto rischio, per le forme multisistemiche con disfunzione d’organo che presentano una probabilit? di sopravvivenza, in caso di cattiva risposta alla terapia, molto bassa.
- basso rischio per le forme senza disfunzione d’organo o localizzate, in cui la prognosi ? migliore ma la probabilit? di recidiva e cronicizzazione ? alta.
LA LINFOISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA FAMILIARE
“Ogni anno in Italia un bambino su 50000 nati vivi si ammala di Linfoistiocitosi emofagocitica familiare(FHL), il 20% di questi muore precocemente, una quota equivalente rimane disabile in maniera permanente”. Sembra una notizia giornalistica ma la realt?, a volerla spiegare meglio, non ? molto diversa.
Siamo di fronte ad una patologia, la FHL, molto rara, a trasmissione genetica, difficile da diagnosticare e che presenta un esito per lo pi? infausto nel giro di pochi mesi se non trattata tempestivamente.
IL MESSAGGIO POSITIVO ? CHE DA QUESTA MALATTIA SI PU? GUARIRE
I fattori limitanti per ottenere un successo terapeutico sono vari e non tutti ancora affrontati:
- solo recentemente sono stati identificati gli errori genetici che sono alla base del meccanismo patogenetico, molti sforzi devono essere ancora fatti per comprende a pieno la eziopatogenesi e le svariate forme sotto cui la malattia si pu? manifestare.
- In genere colpisce i bambini in un’et? compresa tra i primi mesi di vita, si eredita con modalit? autosomica recessiva per cui l’eventualit? pi? frequente che si verifica ? che una coppia di giovani genitori conoscono la malattia quando il loro primo ed unico figlio ? affetto.
- Questo pone due tipi di difficolt?: una diagnostica in quanto bisogna risalire a volte ai trisnonni per scoprire che c’? un grado di parentela che aumenta la probabilit? che i discendenti possano essere malati o per scoprire che in precedenza un membro della famiglia sia gi? stato colpito da questa malattia in tenera et? senza che abbia mai ricevuto una diagnosi corretta, ne una corretta terapia perch? difficilmente il soggetto malato avr? disponibile un fratello o sorella HLA compatibile per praticare un trapianto di midollo osseo.
COME RICONOSCERLA ED AFFRONTARLA
Si manifesta nel lattante con febbre, splenomegalia e pancitopenia ed ? caratterizzata da una massiva infiltrazione linfo-istiocitica di tutto il sistema reticolo-endoteliale (fegato,milza,midollo osseo, linfonodi) e del sistema nervoso centrale; gli istiociti si ritrovano in atteggiamento di attiva fagocitosi cio? di ingestione di altre cellule da cui il nome deriva la denominazione.
I sintomi iniziali sono aspecif?ci: febbre, infezione delle prime vie aeree, pallore, anoressia e irritabilit?. Solo quando la malattia entra in fase attiva, la situazione clinica diventa critica. Possono comparire ittero, un rash cutaneo persistente, ascite ed edemi; i segni neurologici come da ipertensione endocranica, segni meningei e convulsioni possono comparire in un quinto dei casi e possono essere tali da dominare il quadro clinico. La diagnosi differenziale si pone con altre patologie di altrettanta rilevanza clinica come la mononucleosi infettiva, la leucemia, le sepsi gravi, epatite ed encefalite o con altre sindromi genetiche e/o immunodeficienze gravi. A volte pu? essere scatenata o essere secondaria ad infezioni, le pi? frequentemente implicate sono quelle virali ma anche batteriche, parassitarie e fungine; anche le forme secondarie, denominate ” VAHS “possono essere associate ad alta mortalit?.
La patogenesi ? legata alla regolazione del sistema immunitario, con riduzione della citotossicit? cellulare, in particolare dei linfociti T e N.K. ed aumentata produzione di citochine.
Marker tipico ? il difetto severo della attivit? delle cellule N.K. che rappresentano le cellule Killer in grado, cio?, di uccidere le cellule bersaglio (cellule vecchie, disfatte, microrganismi patogeni come virus, batteri etc, cellule estranee come cellule atipiche o neoplastiche. Questa alterata apoptosi (morte programmata delle cellule) risulta in una proliferazione non controllata delle stesse cellule effettrici.
Alla base di questo difetto, recentemente sono state individuate una o pi? alterazioni genetiche. La prima di queste, identificata nel 30- 40% circa dei soggetti malati, consiste nella presenza di mutazioni nel gene della Perforina, proteina, in grado di formare un canale di trasmissione transmembrana del linfocita T ed N.K. per il passaggio di citochine effettrici del danno cellulare. La seconda pi? recentemente dimostrata, ? la mutazione Munch che produce una alterazione, a valle del meccanismo di apoptosi, nella formazione delle vescicole primarie che rilasciano le citochine aprendosi nella cellula bersaglio.
Appena viene posto il sospetto di una sindrome da attivazione istiocitaria e prima che entri nella fase attiva c’? bisogno di prendere in carico il paziente, accertarsi della diagnosi, attraverso procedure ultraspecialistiche, quali la valutazione morfologica del midollo osseo e/o linfonodo, la tipizzazione fenotipica del pannello linfocitario, la valutazione funzionale della attivit? N.K. ed eventualmente la determinazione della sequenza genetica delle mutazioni.
Eseguire una stadiazione della malattia con esami quali la TC, RM, rachicentesi.
Iniziare la terapia con tarmaci antineoplastici ed immunosoppressivi, in attesa di avviare il paziente ad un trapianto di midollo osseo da donatore HLA identico familiare e non, in grado di consolidare definitivamente la guarigione del paziente.